Il trombettista fa il suo dovere

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«La cioccolata calda».
Silenzio. Alzo lo sguardo su di lei. Sta guardando la tazza davanti a me quasi con disgusto.
«Sì, la cioccolata calda»
«Per carità, è buona eh»
«È molto buona, e allora?»
«E allora niente… hai ordinato una cioccolata calda»
«Sì» dico, «ho ordinato una cioccolata calda e la sto bevendo»
«Mentre io ho ordinato una birra. Fredda»
«Perché calda, la birra, fa schifo» dico.
Silenzio. Ci pensa su.
«Giusto».
Hallelujah. Sollevo la tazza, poggio le labbra sul bordo e…
«Cioccolata calda» dice lei.
Poso la tazza. La guardo non riuscendo a trattenere un sospiro scocciato.
«Mi spieghi cosa ci trovi di strano nella mia cioccolata calda?»
«Niente, tranne il fatto che a te sta sul cazzo la cioccolata calda, ma la stai bevendo comunque»
«Fammi capire, adesso uno non può cambiare gusti?»
«Assolutamente. Senti ho un’idea, perché stasera non andiamo a farci una bella carciofolata da qualche parte?».
Silenzio.
Stronza.
«Lo sai che a me non piacciono i carciofi» dico.
«Certo che lo so, ma speravo avessi… cambiato gusti». Ride. «Dai, sto scherzando scemo. Goditi la tua cioccolata calda, non ti rompo i coglioni»
«Non mi rompi i coglioni»
«Lo so, l’ho appena detto»
«No, nel senso… va be’, niente».
Bevo.
Lei continua a ridere, ma silenziosamente.
Mando giù in fretta e furia tanto da bruciarmi la gola.
«Che ridi?»
«Niente, sei buffo, non chiedermi perché. Non saprei rispondere»
«Ok»
«Okè».
Silenzio. Bevo di nuovo, lei manda giù qualche sorso di birra poi guarda fuori dalla finestra.
Mi viene in mente una cosa.
«Comunque poi l’ho fatta quella cosa».
Mi guarda.
«Davvero?»
«Sì. Dubitavi?»
«No, ma sinceramente non pensavo ti organizzassi così velocemente»
«E invece sì! Visto? Ti ho stupita»
«Veramente! Sono orgogliosa di te, bravo» dice, poi beve un altro sorso di birra.
Sorrido. Poi mi viene un dubbio. La guardo attentamente e vedo che non sta bevendo ma sta usando il boccale per non farmi vedere che…
Sta ridendo.
«Tu non hai capito di che cosa diamine sto parlando» dico.
Mi guarda sorridente.
«Ma certo che ho capito… quella cosa, no?»
«Basta, mi fai incazzare quando fai così, non ti dico più un ca…»
«Linguaggio»
«Oh, ma linguaggio un cazzo!».
Silenzio. Ora ha lo sguardo turbato.
«Signorino, modera i termini»
«Ma stai parlando con tuo figlio? Ma sei seria? Ti sto dicendo una cosa importante e tu fai la cretina?»
«Guarda che ti conosco, tu non stai dicendo qualcosa… stai soltanto cercando approvazione e io l’approvazione non te la do solo per farti contento e per farti sentire “ok”, ok?».
Stop.
Pausa.
Rewind.
Mi guarda.
«Lo so che non l’hai fatta quella cosa. C’hai provato, ti sei disperato perché non ti è riuscita in due, tre giorni e hai lasciato stare, poi però c’hai riprovato e c’hai riprovato e c’hai riprovato. Poi hai deciso di ordinare una cazzo di cioccolata calda che neanche ti piace soltanto per farmi vedere chissà che cosa, lo sai solo tu, e adesso in questo bel siparietto ci sei tu che sei gelido, la cioccolata che si sta gelando e io che ho i coglioni che girano a mille perché tu sei gelido».
Fine.
Sipario.
Applausi.
Il pubblico si alza e chiede indietro i soldi del biglietto.
«Non è proprio così» balbetto. Lei mi guarda innervosita. «Sul serio»
«E allora com’è?»
«Ci sto provando ancora a fare quella cosa, davvero. Non ho mollato»
«E che è ‘sta moda di ordinare una cosa che odi? Pensi davvero che quella cosa si attui così?»
«Ma io che ne so?»
«Oh, svegliati cocco… non è mangiando roba che ti fa schifo che ti aiuterà a fare qualsiasi cosa tu voglia fare»
«Avevo voglia di novità, ok?».
Silenzio.
Tasto dolente.
Mi guarda. Prende fiato.
«Se avevi voglia di novità mi portavi in vacanza da qualche parte sconosciuta, non ordinavi una dannata cioccolata calda. Al gusto peperoncino poi? Ma che è?»
«Ho fatto una stronzata, ok? Adesso dobbiamo rovinarci il pomeriggio per la mia cioccolata calda?»
«Non è tua! Una cosa che non ti piace non può essere tua, santo Dio!»
«Mia per modo di dire! Ma che è ‘sta cosa di puntualizzare oggi?»
«Devi fare ordine, ecco perché puntualizzo… devi fare ordine in quella testa altrimenti rischi di affogare!»
«Ma rischio di affogare dove? Ma che stai dicendo?»
«Sì! Rischi di affogare nella merda che ti crei da solo, ok?».
Colpito e affondato.
«Guarda che lo so cosa stai facendo. “La novità”… adesso cerchi “la novità”. Lo so dove vuoi andare a parare, non me la fai cocco. Ti conosco troppo bene»
«Sentiamo, sono tutto orecchi»
«Non “sentiamo” proprio niente invece. Io non devo dirti niente, sai già tutto»
«Che due palle quando fai così però»
«Ah, pure? Non puoi lamentarti se ti conosco troppo bene. Com’è, ‘sta cosa ti piace solo quando ti fa comodo?»
«No macché, è che boh… mi butti a terra e mi salti sopra. Mi smonti l’entusiasmo»
«Guardami». La guardo. «Ho torto? Quella cosa ti sta riuscendo davvero?»
Silenzio.
Il pubblico ha capito il trucco.
Lo spettacolo di magia è fallito.
«No. Non mi sta riuscendo per un cazzo. Cioè sì, ma a tratti»
«A tratti. Come un vecchio videogioco della play che va a scatti e si blocca?». Sorrido.
«Sì, proprio come un vecchio videogioco della play che va a scatti e si blocca» ammetto, poi continuo: «il fatto è che vado a rilento, sono partito con l’entusiasmo esagerato ma ora vado a rilento. Studio gli altri, cerco di capire le tecniche, i segreti per riuscire al meglio in quella cosa ma non va tanto bene… cioè, magari va anche bene, ma per ora mi sto limitando ad imitare gli altri»
«Ed è giusto così, allora».
Silenzio.
Il pubblico trattiene il fiato.
Colpo di scena!
«Aspe’… in che senso? È giusto che imito gli altri?»
«Quando stai facendo una cosa per te nuova? Certo. Anche nello sport funziona così. Studi gli altri, le tecniche di gioco, gli schemi, ti attacchi i poster dei campioni in camera e sogni di essere come loro. Giusto così. Hai semplicemente bisogno di prendere ispirazione dai migliori o da chi ci sa fare meglio di te».
Applausi.
Boati.
Oscar. “And the winner is…”
«Sai che c’è» dico. «Mi sa che anche stavolta hai ragione»
«Tanto per cambiare, cocco bello» dice lei, poi finisce la birra e scosta leggermente la bottiglia vuota per avere davanti a sé spazio, allunga le mani e prende le mie. Mi guarda.
«Ti fai un botto di problemi. Comincia a uscirti fumo dalle orecchie, sai?».
Ha i capelli slacciati, disordinati e terribilmente mossi, ma nonostante tutto non credo di aver mai visto capelli più belli e ordinati dei suoi. Mi viene in mente una cosa.
«Ieri ho letto una roba su Facebook, una frase»
«Una frase?»
«Sì. Era di Baricco, tratta da “Novecento”. Faceva tipo… aspè… ah, sì: “Uno che su una nave suona la tromba, non è che quando arriva la burrasca possa fare un granché. Può giusto evitare di suonare la tromba, tanto per non complicare le cose.”»
«La conosco. Bella no?»
Mi guarda. Capisce. Le sue labbra prendono la forma di un sorriso talmente ampio da far vedere i denti. Le sue lentiggini, il suo collo, le sue cicatrici, tutto emana luce solare illuminando la sua certezza già certa: mi conosce troppo bene. «Ti senti come il tizio che suona la tromba, vero?» dice, mentre mi guarda dentro come una maga.
«Sì»
«E come ti senti nei panni del trombettista?»
«Uno schifo»
«E perché?»
«Dai, un trombettista nel bel mezzo di una bufera? Inutile»
«Bisogna sempre essere utili a qualcosa secondo te?»
«Non dico questo, ma nel bel mezzo di un pericolo… cosa ci faccio con la tromba? Cosa me ne faccio del mio saperla suonare?»
«Niente. Non te ne fai niente, puoi solo dare una mano»
«Eh»
«Mi meraviglio che sia proprio tu a dirmi una cosa del genere, sai?»
«Perché?»
«Ma come, adori così tanto i film di genere apocalittico e non ti accorgi di quanto sia attuale nel discorso del trombettista durante una bufera?»
«Ferma… mi sono perso…»
«Nel bel mezzo del pericolo il trombettista si tirerà su le maniche e darà una mano come i sopravvissuti delle tue storie preferite. Fine. È questo che farebbero tutti. Non importa chi siamo. Attori, musicisti, infermieri, baristi. C’è sempre bisogno di noi durante un’Apocalisse. Tutto sta nel riconoscere i propri limiti»
«Odio avere dei limiti»
«Ma li hai, come tutti gli esseri umani. Devi solo conviverci, accettarti per come sei, suonare la tua tromba su quel palco quando sarà il tuo momento senza alcun cazzo di rimorso o senso di colpa. Senza svalutarti. Riceverai complimenti, critiche, fischi, pomodori ma continuerai a suonare la tromba, perché questo vuoi fare: suonare. Poi, al primo allarme, quando vedrai i primi schizzi d’acqua poserai la tua tromba con cura, scenderai dal palco interrompendo la tua esibizione e darai una mano. Se il tuo aiuto non servirà a nulla ti farai da parte, senza complicare le cose e senza sentirti un fallito inutile. Perché è così che si fa. Poi, quando tutto sarà passato, tornerai a suonare la tua tromba, facendo quello che ami fare. Tornerai ad essere ciò che devi essere perché vuoi esserlo. È questo quello che farai. Qualunque sia la cosa che stai cercando di fare, falla perché ti fa stare bene, perché vuoi farla. Impara a suonare la tromba guardando chi la suona meglio di te, ma suonala a modo tuo, come ti dice il cuore. Vedrai che non ci sarà bufera in grado di fermarti».
Silenzio.
Col fiato sospeso il pubblico guarda il finale della nostra storia arrivare con velocità sorprendente.
Titoli di coda.
Nessun applauso.
Lacrime e abbracci.
Il senso è stato capito.
Il narratore ha fatto il suo compito.
Musica.
Suono di tromba.

Andrea Abbafati