RacCorto n. 7 – Prosciutto

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«Ci hai mai pensato?».
Mi guarda.
La domanda è uscita dalla mia bocca quasi meccanicamente, senza che io potessi fermarla. Così, all’improvviso.
«A cosa?» domanda lei, i suoi occhi profondi fissi su di me. Adoro guardarle gli occhi; sembrano brillare sempre, ogni ora del giorno, e non sono mai riuscito a capire di che colore siano. Non ho nemmeno mai chiesto. Preferisco vivere con il mistero e quel senso di scoperta ogni volta che mi guarda.
«A noi». La mia risposta non ha senso, ma lei sembra capirla ugualmente. Annuisce lentamente con la testa, poi abbozza un piccolo sorriso. «Sì».
“Sì”.
«Molto spesso, in realtà» aggiunge poi. I suoi ricci dorati riflettono la luce del sole che tanto le piace. Il rumore del mare accompagna i nostri sguardi e le sue smorfie colorate.
«E a cosa hai pensato?».
«Che vuoi sapere?»
«A cosa pensi quando pensi a noi»
«Penso a noi. A quello che siamo. A come siamo felici quando siamo insieme. Perché?»
«Capito! No, niente. Chiedevo».
Silenzio. La guardo. Mi guarda. Avvicina il suo volto al mio e fa l’ennesima smorfietta da cartone animato gonfiando le guance e scostando leggermente la testa verso destra, poi poggia il suo naso contro il mio e sussurra: «ti spezzo le ossa!».
«Principessa!»
«Lo sai che odio i cliffhanger. Ho chiuso decine di serie tv per questo motivo»
«Molto intelligente da parte tua, dato che le serie tv campano di cliffhanger»
«Non mi frega niente! Il mio ragazzo, con me, non deve usare cliffhanger!»
«E con le altre? Posso?».
Mi guarda. Ecco che la smorfietta cambia radicalmente e diventa quasi minacciosa.
«Ti spezzo le ossa e ti stacco l’aggeggio che hai tra le gambe». Nessun sorriso. Fatica a tenere lo sguardo fermo, serio. Poi esplode. «Be’? Che ci fai ancora qui? Vai con le altre, no?».
Rido. Rido di gusto. Adoro quando fa la gelosa.
«Non voglio nessun’altra. Voglio te. E basta». È il tempo degli occhioni dolci, a quanto pare. Stacca il suo naso dal mio, prende una leggera rincorsa e mi abbraccia mentre le onde del mare continuano a fare il loro dovere.
«Pensavo a noi stamattina» improvviso io. «Pensavo che a questo punto della nostra relazione non esiste una parola precisa per descriverci».
Lei sta ascoltando, lo sento, ma non si stacca dall’abbraccio. «Cioè?» chiede. «Cioè» continuo, «non esiste una parolina magica per definire chi siamo. Voglio dire…». Prendo fiato.
«Del ‘ti voglio bene’ non se ne parla nemmeno»
«Santo Dio, direi proprio di no»
«Appunto. E per il ‘ti amo’…»
«Ho capito dove vuoi arrivare»
«Non voglio arrivare da nessuna parte. Abbiamo deciso di fare le cose con calma. “Un a domani alla volta” come dici tu. Giusto?»
«Giusto! Ma tu me l’hai già detta»
«Cosa?»
«La parolina magica. Qualche giorno fa»
«Sì, be’… scusa. Non volevo dare l’impressione di correre troppo»
«Non corri troppo»
«Però mi rendo conto che magari…»
«Ehi?».
Si allontana leggermente da me, giusto quel poco di spazio che serve per prendermi la testa tra le mani.
«Non corri troppo» mi sussurra, guardandomi negli occhi con i suoi occhi dal colore bellissimo e… cavolo, ma che colore è?
«Ok?» aggiunge.
«Ok».
Mi bacia. Un bacio veloce, profumato, che sa d’arancia.
«Ho un’idea» propongo all’improvviso. «Vai, spara». «Potremmo inventare un termine tutto nostro per descrivere quello che siamo». Mi guarda, un punto interrogativo improvvisamente disegnato sul volto. «Cioè?». «Cioè… non lo so. Un termine nuovo, solo nostro, che possiamo ripeterci fino all’esaurimento nervoso per esprimere quello che… quello che proviamo».
Si attiva qualcosa nella sua testa. Riconosco ogni volta quel momento perché sposta sempre lo sguardo verso destra e scansa i capelli che le cadono sul volto con delicatezza, come a non voler essere disturbata da nulla. Nemmeno da sé stessa.
«Prosciutto».
La guardo. La sua bocca prende la forma di un sorriso e quegli occhi intraducibili tornano su di me. “Prosciutto”. Ha davvero detto così o me lo sono immaginato?
«Scusa… che hai detto?»
«Ho detto: prosciutto!»
«E che cavolo significa ‘prosciutto’ adesso?»
«È il mio modo per dire ‘va bene’! Quindi, prosciutto inventiamo un termine tutto nostro».
Silenzio. La guardo, basito e innamorato. Non so che dire.
«Che c’è? Sei rimasto senza parole?»
«Abbastanza»
«Oh, vedi che l’idea è tua eh!»
«Sì, sì, scusa… hai ragione! Va bene, vai, inventiamo»
«Prosciutto»
«Eh?»
«Devi dire ‘prosciutto’ per dire ‘va bene’!»
«Oh, Gesù… va be’ dai adesso non cominciamo»
«Prosciu’»
«Eh?»
«’Va be” è un troncamento, quindi diventa ‘prosciu”»
«Sei impazzita».
Scoppia a ridere. Le sue risate mi fanno impazzire. Sono risate piene, a pieni polmoni.
«Allora? Ce l’hai questo nuovo termine? Perché l’idea è tua, ma quella che si sta impegnando sono io».
Tutto d’un fiato, di getto. Via.
«Ti a… domani».
Il silenzio cala sul mare.
«Ripeti»
«Ti a… domani. Che significa: ehi, ti amo. Ma cresciamo insieme un “a domani alla volta”»
«Cazzo»
«Cosa?»
«È forte!»
«Funziona?»
«Funziona! Solo… tutto attaccato, giusto?»
«Mh. Dici? Io l’avevo pensato con i puntini di sospensione ma per me è uguale»
«Sì. Rende di più»
«Ok, proviamo. Voltati»
«Eh?»
«Dai, voltati!».
Si volta divertita, dando le spalle a me. E al mare che tanto ama.
«Ehi?» la chiamo.
Torna a guardarmi.
«Oi? Dimmi!»
«Volevo dirti che… ti adomani».
Silenzio. Gli occhi le si aprono. Ecco. Ecco! Trovato! Sono del colore della felicità!
«Ti adomani anche io, sciocco» dice, avvicinando le sue labbra alle mie.
Il bacio è lungo, quasi infinito. Immenso. Poi d’improvviso, quasi dal nulla, si stacca dalla mia bocca e comincia a spogliarsi.
«Che fai?»
«Bagno!»
«Bagno?»
«Certo! Bagno! Ci facciamo il primo bagno della stagione! Dai, vieni!»
«Tu sei tutta scema! Non hai neanche il costume! Ti fai il bagno in mutande e reggiseno?»
«Che c’è? Ci siamo solo noi qui! Sei geloso delle alghe?».
Comincia a correre verso il mare, che ora ha ricominciato a far chiasso con le onde.
La guardo precipitarsi nel suo posto preferito, bella, riccia, libera e felice.
Si volta, spalancando le braccia.
«Oi? Ti sbrighi o no a venire? L’acqua è tiepida!».
Mi alzo, gli occhi fissi su di lei che entra in acqua, mentre mi spoglio.
Sorrido.
Butto i vestiti nella sabbia; una cosa che avrei odiato fare prima… ma adesso c’è lei che rende tutto più sopportabile e addirittura bello, anche la sabbia.
«Forza, vieni che ti aspetto!» urla lei da lontano.
«E va ben…».
Ops.
Prendo fiato.
Riempio i polmoni.
«Prosciutto!».

Andrea Abbafati
Per Margherita

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