RacCorto n. 6 – Precedenze

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«Mi sa che mi è tornato il blocco dello scrittore»
«Sì?»
«Sì»
«Da che lo capisci?»
«Mi metto a scrivere ma non scrivo. Mi fisso sulle parole senza riuscire a scegliere quella giusta»
«Magari sei solo stanco»
«È blocco dello scrittore»
«E va bene, è blocco dello scrittore. E quindi?»
«Quindi che?»
«Quindi che fai? Aspetti che passa o ti decidi a scrivere e basta?»
«Ma se ti ho detto che…»
«Sì, ho capito. Hai il blocco dello scrittore»
«Eh»
«Però nemmeno puoi arrenderti ogni volta che non hai nulla da scrivere. Che ne so. Cerca ispirazione»
«Ma l’ispirazione non è una roba che trovi così, per strada, a caso»
«Secondo me l’ispirazione aspetta solo di essere scovata. O costruita»
«Se, ciao»
«Pensaci»
«A che?»
«All’ispirazione. Pensaci. Per esempio: ultimamente, una cosa che fai spesso?».
Penso. Mi vengono in mente tremila battute sconce che decido di non dire. La guardo. I suoi occhi mi fissano nell’anima. Porca troia. È lei la mia ispirazione.
«Una cosa che faccio spesso» ripeto. «Sì» dice lei, «quando sei fuori».
«Quando sono fuori?». «Sì. Quando sei in giro. A lavoro. In macchina. Ovunque».
«Ah, be’… ultimamente quando sono in giro regalo precedenze come se non ci fosse un domani»
«Precedenze?»
«Sì. Stamattina per poco non vengo tamponato perché mi sono fermato di botto ad una rotatoria per far passare un vecchietto»
«Mh. Non intendevo “una cosa che fai spesso per farti uccidere”, ma almeno è un inizio. E perché regali precedenze come se non ci fosse un domani?»
«Mi fa stare bene. E anche lampeggiare per ringraziare quando poi per ringraziarmi tirano fuori la mano dal finestrino»
«Cioè… ringrazi per un ringraziamento?»
«Sì. Tecnicamente sì»
«E quindi lampeggi»
«E quindi lampeggio. Quando invece la precedenza la regalano a me metto le quattro frecce»
«Le quattro frecce?»
«Sì. Si usa spesso all’estero ma qua in Italia ovviamente arriviamo sempre tardi, come i treni»
«E come funziona?»
«Funziona che attivo le quattro frecce per qualche secondo per ringraziare e quello dietro mi lampeggia per farmi capire che ha capito. È tipo un “prego! Non c’è di che!”»
«È strana ‘sta cosa»
«Già».
Mi guarda. La guardo. «Che c’è?» chiedo.
Ride.
«Niente, niente. Pensavo a te che ti incazzi perché quello dietro ti suona col clacson mentre ti fermi di botto in mezzo alla rotonda»
«Divertente».
Scoppia a ridere.
«Troppo!».
Mi sdraio stizzito sul pavimento del terrazzo.
«Entriamo?» mi chiede. «Fa freddo. Siamo a febbraio e noi siamo fuori come se fosse agosto»
«Tu vai, io ti raggiungo tra poco».
Si stende al mio fianco.
«Se tu resti, io resto».
Porca troia, è proprio la mia ispirazione. Quella preferita di sicuro.
«Offro i caffè» dico improvvisamente. Sento che si volta verso di me, senza guardarla.
«Offri i caffè?»
«Se»
«A chi?»
«Dipende»
«Da cosa?»
«Ma perché?»
«Perché mi interessa»
«Non so da cosa dipenda. Lo faccio e basta»
«E so anche il perché»
«Perché mi fa stare bene»
«Ah! Lo sapevo!».
Questa volta sono io a voltarmi verso di lei. I suoi capelli lunghi le cadono sul volto, coprendole l’occhio destro. Glieli scosto con delicatezza. Sorride ed apre leggermente la bocca per dire qualcosa.
«Basta che non finisci per rimetterci» dice.
«Rimetterci?»
«Be’, sì. Se cominci ad offrire caffè a tutti…»
«Non offro caffè a tutti. Solo a chi penso li meriti»
«Sì, sì, per carità, ma…»
«Non ci si rimette mai quando si fa qualcosa che ti fa e fa stare bene».
Boom. Stesa. Mi guarda con il sorriso ancora stampato sul volto e la bocca ancora aperta. Quel sorriso un po’ ingenuo e forte che le scopre i denti bianchissimi.
«Ma sei proprio un bravo ragazzo allora!»
«Non sei divertente»
«Non voglio essere divertente. Sono sincera e basta».
Mi si avvicina leggermente. «Un premio per te» dice, poi mi bacia.
Le sue labbra ed il suo sapore. I brividi che mi passa. I capelli che si insinuano tra le nostre labbra.
Mi stacco un po’ troppo violentemente.
«Che c’è?»
«Ho l’ispirazione!»
«Ti è arrivata?»
«Proprio adesso!»
«Forte! Vedi che funziona cercarla?»
«L’ho cercata?»
«L’abbiamo cercata, sì»
«Nah. Non credo. L’hai sempre avuta tu tra le labbra. Dovevi solo darmela».
Di nuovo un sorriso, e la bocca socchiusa.
Mi alzo.
«Entriamo?»
«Certo!».
Si alza. Mi lancia velocemente un bacio a stampo, poi mi guarda facendomi segno di entrare. Mi scosto per farla passare.
Lei capisce e scoppia a ridere mentre le indico la porta.
«Prego, prima tu!».

Andrea Abbafati

RacCorto n. 5 – Piccole regole giuste

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Guarda il tramonto.
Osserva l’alba.
Non paragonarli.
Studia le persone. I loro errori. Le loro vittorie.
Non paragonarti.
Ascolta il mondo e benedici la tua libertà. Tu che puoi.
Stancati.
Riposati.
Guarda il sole per un po’, poi sposta lo sguardo e osserva quanta bellezza c’è quando spariscono le macchie nere.
Fai pensieri positivi.

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A lavoro tutto bene

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«Sai cosa mi manca veramente tanto?»
«Mh»
«Guardare il cielo di notte in mezzo alla campagna, prendere una birra in qualche pub squallido e puzzolente, mangiare dal cinese, poi fare lo spuntino di mezzanotte con la pizza appena sfornata e tornare a casa ubriaca senza avere l’ansia di pesarmi sulla bilancia la mattina dopo»
«Mh… forte»
«Già… a te invece cosa manca?».
Silenzio.
«Oi… ci sei ancora?»
«Eh? Ah sì, certo. Eccomi»
«Pensavo fosse caduta la linea»
«No, no… ci sono»
«Ci sei, ma non ci sei»
«Eh?»
«Se vuoi attacco e ci sentiamo dopo, non è un problema ciccio»
«Ma falla finita… ti pare? Ti ascolto»
«Eh, ma io ho finito di parlare da qualche secondo ormai, ciccio»
«Ah… scusa, ero soprappensiero»
«Me ne sono accorta, ciccio»
«Stai in fissa oggi con “ciccio”, eh?»
«Sì, ciccio. Scusa, C – I – C – C – I – O»
«Cretina».
Ride.
«Beh, insomma?» Leggi tutto “A lavoro tutto bene”

Quando sarò stramazzato

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Prometto a me stesso che fallirò.
Non importa quando, non importa dove, non importa come. Fallirò. Cadrò a terra e urlerò di rabbia.
Prometto a me stesso che perderò gente e che spesso sarà solo colpa mia. Perderò fratelli e sorelle, come è già successo, per delusioni o per scelta. Come è già successo.
Prometto a me stesso che quando sarò a terra mi mancherò di rispetto. Mancherò di rispetto al mio corpo, alla mia mente e al mio orgoglio. Non per cattiveria ma per necessità.
Prometto a me stesso che porterò rancore, agirò in preda alla rabbia, starò a fissarmi allo specchio provando disgusto per ciò che sarò diventato.
Prometto a me stesso che porterò le mie ferite esposte come tatuaggi. Mi prometto che desidererò essere altro, altri. Prometto a me medesimo che disprezzerò quanto ho ottenuto perché lo vedrò vuoto, privo di vita, debole, barcollante. Come me.
Prometto a me stesso che nel periodo più difficile della mia vita rimpiangerò il passato, chi ho deciso di allontanare, chi si è allontanato. I bei tempi. Proverò rabbia per i bei tempi. Andati. Proverò rabbia per i bei tempi andati. Dirò che “era meglio prima”, vedrò nero il futuro che si appresterà ad arrivare.
Prometto a me stesso che quando sarò stramazzato vorrò mollare tutto, cambiare rotta, cambiare posto, cambiare gente, cambiare idea. Prometto anzi giuro solennemente che desidererò lasciarmi andare, perdere tutto ciò per cui ho sempre combattuto e buttarlo al vento in preda al panico. Prometto che non avranno più senso i sorrisi. Prometto che non avranno più senso gli abbracci.
Prometto che perderò.
Prometto che cadrò a terra in mezzo alla polvere.
Prometto che mi farò schifo.
Prometto che inveirò contro chi c’è sempre stato.
Quando sarò stramazzato.
Prometto che vorrò cambiare tutto.
Prometto che mancherò di rispetto a me stesso.
Prometto che smetterò di sperare.
Prometto che resterò spesso fermo e in silenzio, senza aver voglia di far nulla.
Quando sarò stramazzato.
Prometto che proverò a rialzarmi.
Prometto che farò respiri profondi.
Prometto che prenderò ispirazione da ciò che più mi piace.
Prometto che premierò il mio coraggio, sforzandomi di riconoscerlo.
Quando sarò stramazzato.
Prometto che non avrò paura.
Prometto che non avrò paura.
Prometto che non avrò paura.
E ancora.
Giuro che non avrò paura.
Quando sarò stramazzato.

Andrea Abbafati