A lavoro tutto bene

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«Sai cosa mi manca veramente tanto?»
«Mh»
«Guardare il cielo di notte in mezzo alla campagna, prendere una birra in qualche pub squallido e puzzolente, mangiare dal cinese, poi fare lo spuntino di mezzanotte con la pizza appena sfornata e tornare a casa ubriaca senza avere l’ansia di pesarmi sulla bilancia la mattina dopo»
«Mh… forte»
«Già… a te invece cosa manca?».
Silenzio.
«Oi… ci sei ancora?»
«Eh? Ah sì, certo. Eccomi»
«Pensavo fosse caduta la linea»
«No, no… ci sono»
«Ci sei, ma non ci sei»
«Eh?»
«Se vuoi attacco e ci sentiamo dopo, non è un problema ciccio»
«Ma falla finita… ti pare? Ti ascolto»
«Eh, ma io ho finito di parlare da qualche secondo ormai, ciccio»
«Ah… scusa, ero soprappensiero»
«Me ne sono accorta, ciccio»
«Stai in fissa oggi con “ciccio”, eh?»
«Sì, ciccio. Scusa, C – I – C – C – I – O»
«Cretina».
Ride.
«Beh, insomma?»
«Insomma che? T’ho detto, ero distratto… non ho seguito il discorso»
«Praticamente ho detto che a fine quarantena dovrai portarmi a fare l’amore di notte in mezzo alla campagna, poi a prendere una birra in un pub lussuosissimo, poi a mangiare dal cinese più costoso del mondo, poi a mezzanotte a mangiare la pizza appena sfornata, poi dovrai riportarmi a casa ubriachissima e la mattina dopo dirmi che sono magrissima. E tu hai acconsentito. A tutto. Soprattutto al fatto del cinese più costoso del mondo. Ah, e hai aggiunto anche: “se non avrai voglia potremo fare tutto questo anche senza fare l’amore”. L’hai detto tu eh»
«Io ho detto questo?»
«Assolutamente»
«Mh»
«Già. Non conviene distrarti, ciccio. Combini guai»
«Immagino… e l’“insomma”?»
«Ah, sì… giusto! Dopo tutte queste promesse che mi hai fatto e che ovviamente manterrai, soprattutto il fatto del cinese più costoso del mondo, mi sono preoccupata di chiederti a te cosa mancasse della vita normale fuori dalla quarantena»
«Ah»
«Quindi?»
«Mh…»
«Guarda, te la faccio semplice che ti sento perso: come stai?»
Rido.
«Ridi?»
«Sì, scusa…»
«No, no… che scusa… dimmi»
«Sai la cosa buffa qual è?»
«No… qual è?»
«È che solitamente baso le mie risposte basandomi su come va la mia vita lavorativa»
«Cioè?»
«Cioè boh… se a lavoro va tutto bene, o con il Teatro va tutto bene… sto bene»
«Seeee… ciccio, troppo facile così»
«Ma lo sai che sono strano, su»
«Ti conosco. T’ho visto nudo, ubriaco, col cuscino sbavato in piena faccia e anche in altre situazioni abbastanza imbarazzanti per la tua persona… quindi, fidati. So come sei. Ed è per questo che t’ho fatto la domanda. Devi rispondermi, senza troppi giri di parole, e possibilmente anche con sincerità»
«Senti, lo sai che quando fai così mi innervosisco. A lavoro va bene, il Teatro è fermo e lo sai… ma va bene anche quello. Sto scrivendo ogni giorno, spesso anche senza riposare quando stacco dalla notte… per me va bene così».
Silenzio.
«Beh? Sparita?»
«Hai rotto il cazzo»
«Olé»
«No, sul serio. Hai rotto i coglioni. Me li hai stracciati totalmente»
«Sei donna, non hai i coglioni, hai la vagina»
«Ho la vagina coi coglioni»
«Ah… e da quando?»
«Da ogni volta che ti sento fare il depresso»
«Buono a sapersi»
«OOOOO HAI ROTTO I COGLIONI!»
«Ho capito! Allora attacca no?»
«Seeeeee, ti piacerebbe»
«Certo che sei strana forte»
«Eh, sto con te. Uno più uno fa sempre due»
«Mh. Sì dai… i conti tornano».
Silenzio. La sento pensare.
«Senti, io ti capisco. So quanto tieni al teatro e so che se adesso la nostra conversazione venisse trascritta a penna da qualche parte nel tuo dialogo la parola “teatro” sarebbe scritta con la T maiuscola… perché ci tieni tanto e per te non è una cosa ma una specie di persona, di entità… quindi “Teatro”, non “teatro”»
«Mh»
«E so quanto tieni al lavoro, nonostante tutto. So quanto tieni alla tua autonomia, alla tua libertà di fare e spesso anche alla tua volontà di poterti guardare allo specchio e vederti realizzato, con un impiego sulle spalle che ti dia un’identità. So quanto ami le divise. So quanto ami il concetto di squadra. So tutto di te. Per questo ti ho fatto quella domanda mirata: “come stai?”… perché mi interessa sapere come stai TU, non il teatro, o il lavoro. Tu, che ti alzi alle due e mezza di notte, che scrivi anche in piena quarantena. Tu che hai rotto il cazzo e mi hai stracciato i coglioni che appena finisce la quarantena ti prendo a capocciate. Giuro. Come stai?».
Rido.
«OOOOOO, RISPONDI! COME STAI?»
«Dai, smettila!»
«COME – CAZZO – STAI?».
Silenzio. Respiro.
«Come stai?
Come stai?
Come stai?
Come stai?
Come stai?».
Santa pazienza.
«Come st–»
«Va bene, te lo dico, te lo dico!»
«Vai».
«In questi giorni quando stacco da lavoro riposo, poi mi alleno e guardo film. Ho appeno finito una saga abbastanza squallida con gli zombie, ma gli ultimi due film mi sono piaciuti parecchio. Praticamente c’è questa tizia che–»
«COME – STAI?»
«Mi sento soddisfatto, nonostante tutto. Scrivo molto, poi cancello tutto perché rileggendolo non mi piace e–»
«COME STAI. Voglio solo sapere COME STAI»
«Vedo cambiamenti importanti all’orizzonte e ci spero molto. Sto stringendo la cinghia per poterli realizzare un giorno e–»
«NON STAI RISPONDENDO ALLA DOMANDA E MI STAI FACENDO INNERVORSIRE»
«Anche a livello di fisico sto ottenendo risultati soddisfacenti, il che mi fa sentire molto sollevato perché–»
«Va bene, basta. Mi arrendo».
Silenzio.
Sorrido: «tu non capisci»
«Ah, pure? Adesso sono io che non capisco?»
«Sì. Dici che mi conosci, ed è vero, ci credo, ma ho risposto alla tua domanda miliardi di volte, in modi diversi. Solo che non era la risposta che cercavi tu, e non ti è andata bene. Questo, se vogliamo, è egoismo, ciccia».
SBAM.
Silenzio.
Il silenzio dei colpevoli.
«Scusa»
«Non devi chiedermi scusa»
«Invece sì. Scusa»
«Non c’è da chiedere scusa ti dico. Sono io fatto male, forse. Sono troppo attaccato ai risultati. Il lavoro deve sempre andare bene, altrimenti viene meno la mia spensieratezza. Una roba che mi porto dietro fin da ragazzino… non è colpa mia»
«Ma lo so che non è colpa tua… ti pare?»
«Sono cresciuto con valori esagerati, me ne rendo conto… e sto cercando di cambiare. Sto cercando di non farmi rovinare una settimana da un giorno di lavoro andato male, o da una battuta sbagliata nel mezzo di uno spettacolo»
«E sono sicura che otterrai risultati. Tu ottieni sempre risultati»
«Non sempre, per fortuna. Altrimenti non imparerei nulla».
La sento sorridere.
«Così mi piaci, ciccio»
«E meno male».
Sorride di nuovo.
«Comunque va bene. Stavolta, e solo stavolta, hai ragione tu… i cambiamenti arriveranno, ma piano piano, col tuo tempo. Ci lavoreremo. Insieme. Per il momento, dimmi come stai a modo tuo. Per me va bene».
Pausa. Rifletto.
«Sicura?»
«Sicura».
Sorrido.
Prendo fiato, penso bene alla risposta, ma esce praticamente da sola:
«A lavoro tutto bene».

Andrea Abbafati

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